“Dissolvenze iconografiche nello sfrecciare delle parole ”


Biografia:

Luigi Diego Eléna nasce a Cervo Ligure (Imperia). Trascorre gli anni dell´infanzia e dell´adolescenza fra Cervo e Diano Marina, nel Ponente ligure. Porta a termine gli studi liceali poi alla facoltà di Scienze Politiche. Prende anche lezioni di chitarra e a frequentare assiduamente la Biblioteca comunale dietro consiglio del papà Pippo, ponendo le basi di una cultura, perseguita per lo più da autodidatta, con la sola "guida" della mamma Dina appassionata studiosa di letteratura. Membro di Associazioni e Circoli culturali lombardi liguri e toscani. E' stato premiato in importanti concorsi di poesia internazionali e nazionali, ed è presente con sue liriche in diverse antologie anche per le scuole. Le sue opere sono state tradotte in inglese in una antologia della Book Editori. Poeta, pittore, saggista e narratore., scrive anche filastrocche, canzoni, per i più piccini. Scrive inoltre ed interpreta testi teatrali (pièces di musica e poesia accompagnato dal chitarrista di musica classica Christian Lavernier) quali: "Scacco di dama", "Vena di mare", "Zeta come Zero" , "O mia Signora", "Viaggio nella stanza", "Lasso di sole", "Note Verso...la notte di Natale", "Dai cieli e dalle montagne", "InVENTO il VERSO del SUONO". Ha pubblicato i libri di poesia "Le tre rose rosse", "Un silenzio taciuto", "Inchiostro trasparente", "Doppio Cielo" e i romanzi "Un gabbiano in piazza Duomo" e "Grembiulini Rosazzurro" con la casa editrice "I fiori di campo". Ultima pubblicazione la silloge poetica "Specchi controsole" edita dalla Runde Taarn Edizioni".Dei suoi lavori si sono occupati vari ed importanti critici come Lucia Ferrante, Toti Oggionni, Francesco Mulè, Lucio Martelli, Giuseppe Silvestri, Luciano Nanni.

Si segnala con piacere che Luigi Diego Eléna propone la sua candidatura a sindaco di Cervo Ligure (Im): un uomo di cultura, un raffinato Poeta, un promotore dell'Arte e delle Lettere;

"Arcobaleno con ramoscello d'ulivo"

Candidato Sindaco :  LUIGI ELENA (GINO).

I candidati della lista:

ACQUARONE ROBERTA
DEL CONTE LOREDANA
DEL NEGRO MARIA GRAZIA
ELENA ANNINA
FERRARO RICCARDO
FIORITO ANNA
GAGGERO MARIA GRAZIA
ROTTA MARTA
TUMMINELLO DAVIDE
VANO FRANCESCA
VERNAZZA GIACOMO
ZINNÀ MARZIA

 

Commento critico:

La sensazione avvertita varcando le soglie della poetica di Luigi Diego Eléna è, istintivamente, quella di trovarsi di fronte un testo musicale dove le note cedono il posto ad un susseguirsi di parole dalla forza evocativa non comune. A conferire ulteriore vigore all’iniziale, primitivo sentire, sono le immagini e i suoni che sanno farsi largo nell’animo, lasciando sulle labbra la salsedine di un mare calmo ed irrequieto ad un tempo; il gusto di fumo e carbone della sera abbracciata dall’orizzonte che attende vi sia riposto sopra un tetto, quasi a proteggere un’esistenza che scorre troppo in fretta; l’arsura dei cocci di brocche frantumate che altro non sono che echi lontani di pezzi di vita che via via si scompongono e ricompongono come in un puzzle di cui qualche tessera pare andata irrimediabilmente perduta.

Luigi Diego Eléna ci consegna uno scrigno di parole e significati che siamo abituati a “spiare” quotidianamente, senza quasi accorgerci di ascoltare, così facendo, la parte più intima e nascosta di noi stessi.

(Commento di Cristina Raddaverodimmioluna@alice.it)

L’iconografia lessicale con cui Luigi Diego Eléna scuote il verso per sostanziare con improvvise luminazioni la “vision” del suo pensiero, struttura un percorso in cui si condensano, senza distinzione alcuna, immagini, flashes metaforici, cadenze di luoghi che attraversano il tempo e che, curiosamente, si celano sotto il velo dello scorrere stesso del tempo. Sopravvive lo stupore disincantato dell’osservazione, il saper raccogliere le gocce di vita che cadono ad ogni istante sopra l’esistenza e che, come da un rubinetto poco sigillato, incidono, lasciano segni indelebili, graffiano la memoria e il cammino dei giorni.

Le quotidianità di background emergono dal profondo; le così dette “piccole cose di povero conto” recuperano la loro epicità, l’insignificante banalità del “momento” si trasforma in valore, in pensiero, nei dolenti interrogativi dell’esistere e del confrontarsi dentro gli anfratti nascosti dell’essere.

Cenere ed acqua che marcisce nella brocca, un papillon trasandato, sagome tremanti, soffi, tronchi contorti, aria umida di macaja, voli di falene sono solo un parziale descrittivo della filigrana di un versificare sempre sostenuto da robusti paranchi poetici, da squarci lirici solidificati nella cattura dell’attimo e nella fugace incapacità a trattenerlo.

In sintonia con la grande tradizione poetica ligure di Montale, Sbarbaro, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Giovanni Boine, la liguricità di Luigi affiora nel ritmo del periodare, in certe ardite sobrietà di un linguaggio che origina nel sentire arido e roccioso del paesaggio, in talune sonorità dialettali radicate nell’inconscio come lo sciabordare delle onde quando si avvolgono sopra la scogliera.

(Commento di Pier Luigi Coda)

 

LA SILLOGE

Un papillon slacciato

Chiedo nella via che incarta manichini

sapore d'incantesimo.

Talvolta in qualche cieco sorriso

l'abbraccio visto in film a lieto fine.

L’acqua marcia della brocca da buttare

come le sue rose avvizzite

che sommerge il fuoco

dalla fiamma alla cenere che incanta

nel grigio perla.

E non è l’originale meraviglia.

Troppo uguali.

Sembianza.

Si scopre preda in ragnatela d'invisibile velo

che cade distratto in corsa da passante

l’abbandono che pare un papillon slacciato.

Che vibra.

Senz’ali.



E gli anni lungo filo di gomma si stendono

E avventura resta nell'oscurità in fuga che va sera

sola dove orizzonte attende tetto cielo come mura.

Irrequieti chi e chi gira alla boa in cima desolata

balza di fascia e di colore accesi respiri alla china.

E gli anni lungo filo di gomma si stendono allo strappo

il loro ultimo dilaga non rigido non rigoroso scarico.

Talora malchiuso in questa scatola si mostra il tempo.

Di poi c’inghiotte fumo come incenso sulle pasticche accese

ombre di carbone incanto in nero a colori fedeli sfumature.

Candele con effetto fiore singole persone le sagome tremanti.

Guardi cos’è ciascuno assenza in un soffio buio il loro soffrire.

E di legarsi nodo si sfila.

Le carovane nastri di formiche

Strade malizia di carta la pioggia calda incide.

Righe percorsi scrive chilometri al pulviscolo

intinti in pozzanghere accompagnatori il suo verde.

Le carovane nastri di formiche in foulards magia

a togliere il velo nel naso della terra ai ragni in stelo.

A mani vuote una che scollana viene fuori filastrocca.

E il giorno a contare l’ore in minuti luce i grani.

Sul tronco contorto come alla sua foglia piace

la sagoma d’un vecchio di spalle alla conta corona.

Di fronte al giro un bimbo in coda la riporta a diecina.

Un altro tempo e un’altra terra la scia riparte.


Quel buio fioco a forbice

Secco in un mezzogiorno l’ultimo papavero di Maggio

che m’illude d’irrequieto oro murato in strada.

L’ora d’ombre in piedi quel buio fioco a forbice

a due sponde un momento prima verso il dopo

ubriaco che fissa birilli i cipressi in fila scivola il tempo.

Esiste il controluce d’abbaglio la perla occhiola strofina

più pura che di spalle t’afferra giorno per la notte

sul giro di valzer o di tango istanti a dirsi finzione.

La lontananza come pare prospettiva sulla soglia.

Soffocata d’apostrofare un mare come distesa indecisione

frontiera senza suono riposo il cadere all’orizzonte piatto.

Sospinto più accanto.



L’erba crescere

Tratto d'ogni sentire l’erba crescere a volerlo

breviario per ogni fiore in paragrafo ch’è appunto

l’allegoria parabola che fonte ti sembra tua.

Deve risorgere il caldo dal sole il compito calante

per un lenzuolo di luna passatoia in ossequio

perché le orme non abbiano passo d’affondare

terramare una cosa bella identità e rifiuto.

Dovunque senza colpa d’affrancare il cielo

da quelle cieche vele appese al muro in cornice

sempre gonfie anche in crepe aperti occhi un grido.

E a loro nota vapora quella fronte dell’aria eco

che fora dove lo scuro non è notte colore.

Ma il battente cade a spingere la paura

che debole i pugni smette perché ne sa il dolore.

In dote.




Chiaro ai confini

Luccicare flutti d'abbandono danza bordeggia

gli spazi di stelle gaiamente immobili slanciarsi.

La lama di tempesta sulle onde gli affanni ala

e meta vagando ti muovi passante sole che crogiola.

Cenni alle spalle voli di falene sulla testa chiaro ai confini.

Immensità liberamente mi discende e ammicca muta.

Linguaggi che vedo ascolto gravida la terra dei mari.

Elevazione i due profondi che partono dall’orizzonte.

Volo e nuoto simili d’addio palese marea vita spartisci.

E a pezzi di fuga d’eterno cadere d’istante si slega.

Si aspetta.


C’è bimbo l'uomo

Portafortuna sul fil laggiù a notte rosso fuga o moto

non dura bagliore ombroso che brucia di bitume stasi

la madreperlacea cipria della combattuta puerile luna

come un fiammifero all’urto a dirti son luce traccia volante.

Memoria nella cenere l’orgoglio all’umiltà è l'ora la proda.

C’è bimbo l'uomo e chi smarrito ama consumarsi misterioso.

Un attimo sulla rena pendulo al nuovo balzo rammento.

Capriolando.


Un freddo senza vita

Birilli a sfumatura bassa su di un pastrano liso che assembra

corrono i tronchi spogli nudo pozzanghere brocche d’asfalto.

Illude e le corruga il mio passo sghembo membra d’aurora

ai cenni ch’appaiono lo sfratto dai giacigli d’un clochard la bocca

il suo fiato prima accoglienza in uso di precarietà e rimorsi.

Prenderà la briga questo tempo dietro una nube il sole

per cento gocce che s’affrettano ad aggredire un ombrello.

Un freddo senza vita in piazza sulle soglie come nebbia gira

d’una riflessione la presa che in qualche modo cerca le scosse.

Qui muta se non pigra in pegno ad altri occhi finge e trascina.

Non solo come un sacco ti chiude.

Come le more l’ardore

Un sole a mezza pagina può l'abisso ch’arroventa miele

sfinge insensibile la sabbia nell’azzurro e iridescente maturare

e oro del focolare a un muro la calda sera accendere alveare.

Gli occhi ai doveri in ogni rigo l'uno contro l'altro risalgono

sono ai roveti come le more l’ardore dei loro graffi spine ventre.

Alla bottiglia di disprezzo la tenebra vecchia compagna s’impunta

sempre dalle labbra verso l’alto in vezzoso stallo grucce di passato.

La lampada è giaciglio come ragnatela incessantemente fatale.

Della lotta il sonno l'asilo il suo gusto si mescola porto respiro.

E per la bocca in posa null’altro senza ragione un grande angelo

il solco obliquo quietamente offertomi rifugio l'ali del tentare.

Senza morsi come fanciulli neonati seguire il seno per trovare.

Da re a regina scende fecondo che l'accoglie amare.




Alla porta rossa

Intingo il biscotto in questo sale di verde macaia

e chiudo il giorno in pugno all’orizzonte mai vinto.

Il suo lavoro è l’incontro due pizzichi di roccia sabbia

a capo alto per vendere la vita alla porta rossa della norma.

La gente senza cielo si confonde piccola e affollata

d’appunti cronaca in una pagina congelata ragione espulsione.

Il dito corre sull’asfalto la palla rimbalza se guardo fisso il sole

raccoglitore a pagine ch’è sulla via la lingua d’aria il corridoio

a chi come scopre il fondo la grande rosa oltrepassa.

Lo tinge.

 

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