Kondratij Fëdorovič Ryleev
Voinaròvskij
un eroe della libertà ucraina
(Solfanelli Editore- Chieti)

Versione italiana a cura di
Alfredo Bertollo & Pier Luigi Coda

Il Testo


Ryleev; Opere - Leningrado 1934


La Stella Polare

“Ci sarò in quei giorni fatali?”
        
 “Se cadrò nella battaglia per la legge e il potere, anche se i miei contemporanei non capiranno o non mi sapranno valutare, tu, madre mia, devi sapere la purezza e la santità delle mie intenzioni; forse i posteri mi giustificheranno e la storia scriverà il mio nome col nome dei grandi personaggi che sono morti per l’umanità. Per questo, nella storia, Bruto giganteggia più di Cesare”.
Con questa certezza, in quella brumosa giornata del 13 luglio 1826 , Kondratij Fëdorovič Rylèev (o Ryleyev) salì sul patibolo zarista consegnandosi davvero al giudizio dei  posteri e alla storia. La sua rivoluzione per abbattere la tirannia del potere era miseramente naufragata con il cappio al collo, ma il suo esempio, le sue idee e la sua poesia volavano, insieme con la sua anima, sempre più in alto nei cieli tempestosi della Russia del diciannovesimo secolo.


Divenne l’eroico simbolo del pensiero rivoluzionario nella seconda metà dell’Ottocento russo: Gavrilovič Černyševskij nel suo libro “Che fare” si ispirò a Rylèev per il suo personaggio Rakhmetov, così come Sergej Gennadievič Nečaev nel suo “Catechismo di un Rivoluzionario” per raffigurare l’emblematico ideale dell’uomo d’azione. E anche delle donne d’azione, come Vera Ivanovna Zasulič.Anno 1877. Il famigerato governatore di Pietroburgo, generale Trepov, aveva fatto bastonare a sangue fino allo sfinimento e alla follia un povero prigioniero politico, Aleksej Bogoljubov, reo di non essersi tolto il cappello al suo cospetto. Vera organizzò un complotto e sparò a Trepov ferendolo mortalmente; nelle sue “Memorie” scrisse: “ In qualche modo ciò che ho combinato è stato ispirato dalla poesia di Rylèev Confessione di Nalivàiko che per me resta una santa reliquia… Io conosco davvero il destino di Rylèev. Ovunque eroismo, lotta e rivoluzione sono strettamente legate con il dolore e la morte”.

 “Una sola parola: osare”

         In “Puškin e i Paesi Baltici” edito da Solfanelli nel 2011, Ninel’ Ivanovna Podgornaja così ci presenta Kondratij Fëdorovič Rylèev: “Era figlio di un piccolo nobile, uomo gretto e crudele che picchiava la moglie, la relegava in cantina e spesso picchiava anche il figlio. Dopo essersi liberato dall’influenza dispotica del padre, il ragazzo entrò nel corso dei cadetti di Pietroburgo, studiò con profitto, lesse molto ma era il caporione di tutte le monellerie dei compagni e prendeva sempre la colpa su di sé. Se gli capitava d’essere punito con la fustigazione, subito dopo riprendeva a insultare gli ufficiali”.

San Pietroburgo; casa sul fiume Moika dove visse Ryleev

CENNI BIOGRAFICI

Rylèev nacque il 18 settembre 1795 nel villaggio di Batovo, e studiò al Corps des Pages, l’accademia militare della Russia Imperiale che preparava i figli dei nobili e degli ufficiali al servizio militare. Dopo il diploma, fu arruolato nella Brigata a cavallo dell’Artiglieria e partecipò alle campagne napoleoniche dal 1814 al 1815 in Polonia, Germania e Francia.
         A ventitré anni si congedò dall’esercito e si impiegò come tutore presso un piccolo proprietario terriero di cui sposò la figlia, Natal’ja Ivànova Teviasova, dalla quale ebbe due figli.
         Dal 1821 al 1824 lavorò come assessore nella Guardia Criminale di San Pietroburgo e, in questa posizione, aiutò in molte circostanze persone del popolo in difficoltà, come quando prese le difese dei contadini che si rivoltarono al conte Rasumovskij, nonostante l’opposizione dei giudici popolari favorevoli al ricco proprietario terriero .
         Nel 1823, il suo amico Ivàn Ivànovič Puščin lo convinse ad aderire alla rivoluzionaria Società del Nord, formata per lo più da veterani delle guerre napoleoniche, i cui obiettivi erano l’abolizione della servitù della gleba e la sostituzione del potere zarista con un governo repubblicano o una monarchia costituzionale.
         All’interno della Societa Segreta, Rylèev rivestì presto il ruolo preminente di vero leader, e la sua concezione politica, che inizialmente propendeva per una riforma liberal democratica, divenne sempre più radicale e, forse influenzato dal pensiero più estremista di Pavel Pestel’, si convinse che, se la famiglia imperiale avesse rifiutato l’esilio, l’unica soluzione politica possibile sarebbe stata quella del regicidio: “Una ribellione è fondamentale. La tattica della rivoluzione è racchiusa in una parola: osare. E se sarà dolore o fallimento tutto ciò servirà di esempio per coloro che verranno dopo di noi”.

 


Aleksandr Aleksandrovič Bestùžev

“Come un fiume di lava in piena”
        
         La casa di Rylèev divenne un luogo d’incontro per i componenti della società segreta. Così il poeta polacco Adam Mickiewicz ricorda una riunione: “Nella stanza ci saranno state, più o meno, una dozzina di persone ma, a prima vista, non riuscivo a distinguere nulla per la fitta nebbia causata dal fumo delle pipe e dei sigari. Stavano sdraiati sul sofà o sul davanzale della finestra; il giovane Aleksandr Odoevskij e Aleksandr Bestùžev erano seduti con le gambe incrociate alla maniera turca sopra un tappeto persiano… un giovane pallido, con una fronte prominente, dall’aspetto come quello di Shelly, alzò il bicchiere: “Morte allo zar!”. Il brindisi fu accolto con emozione. Gli occhi neri di Rylèev  s’illuminarono come attraversati da una fiamma interna. Tutti brindarono eccetto il sottoscritto un polacco e un ospite. Brindavano alla morte dello zar…”.


Kondratij Fëdorovič Rylèev
E, in mezzo a quella congrega, Nikolaj Bestùžev, il fratello di Aleksandr, così ricorda Rylèev: “L’aspetto fisico non era attraente e il suo modo di esprimersi era semplice, ma quando si affrontava il suo tema preferito – l’amore per il suo paese – il suo viso s’illuminava, i suoi brillanti occhi neri scintillavano di una luce ultraterrena e le sue parole straripavano come un fiume di lava in piena”.

“Hai portato il popolo alla rovina…”

         Con il caratterino che si trovava, non c’è da stupirsi se Rylèev non guardasse in faccia nessuno. E così fu anche nei confronti dell’odioso, dispotico e crudele confidente dello zar Alessandro I, Alekséj Arakceev, al quale il poeta, con un coraggio veramente inaudito, rivolse la sua satira Al favorito: “Arrogante delfino e perfido e infido/ Il furbo adulatore del monarca e amico ingrato/ Tiranno violento del patrio paese/ Le tue azioni rivelano chi tu sia/ Il popolo sa che hai soppresso la libertà/ E che lo hai portato alla rovina con l’oppressione delle tasse/ E privato i villaggi della loro primitiva bellezza…”.
         Questa satira, scritta nel 1820, suscitò larga risonanza e a Rylèev valse l’attenzione dei circoli letterari. Lo stesso Rylèev si stupiva di aver superato la censura e, in una lettera al suo amico Bedraga, scrisse: “La mia satira è stata pubblicata nel decimo numero dello Spettatore della Neva. Molti si chiedono come abbia potuto superare la censura…”
Un anno dopo si iscrisse alla Libera società degli amanti della letteratura russa e, dal 1823 al 1825, insieme a Aleksandr Bestùžev editò il periodico annuale Stella Polare, una delle riviste letterarie più progressiste dell’epoca con contributi di importanti poeti e scrittori tra cui: Puškin, Žukòvskij, Barat ýnskij, Vjàzemskij.
         Sono di quel periodo i suoi scritti poetici più significativi: Coraggio civico, Il Cittadino, La confessione di Nalivàiko, Voinaròskij; ispirandosi al poeta polacco Niemcèwicz scrisse anche un volume di Meditazioni storiche e patriottiche. Ma, sullo sfondo, traspare sempre il canto forte e ribelle di George Byron che, agli inizi dell’Ottocento, volava attraverso i confini di tutta l’Europa.

“Io non sono Poeta ma Cittadino”

All’amico Aleksandr Bestùžev cui dedica il suo poema Voinaròskij scrive: “Accetta i frutti dei miei lavori,/Frutti del mio tempo libero e spensierato;/ Lo so, mio caro, tu li accogli/ Con tutto l'affetto di un amico./ Tu, come un esigente figlio di Apollo,/Non vi troverai arte/ Ma sentimenti vivaci;/ Io non sono un Poeta ma un Cittadino”.
         Per descrivere la missione di poeta, Rylèev usa la parola “Cittadino” “un termine che acquisisce nuova possanza nel suo utilizzo”. Rylèev , citando se stesso, si definisce “Cittadino” e sprona gli amici letterati, tra cui anche Puškin, a essere “Cittadini”. Cosa effettivamente intendesse Rylèev con la parola “Cittadino” lo spiega lo scrittore Vasilij Grigor’evič Bazanov “Il Cittadino, in senso decembrista è, soprattutto, un eloquente oratore, un pubblico tribuno che, con convinzione dimostra il fascino della libertà e l’intollerabile natura della schiavitù”.


“Ahimé! Il mio paese soffre…”

         In Rylèev impegno politico e letterario vanno di pari passo. È impossibile scindere i due aspetti senza intaccare la sostanza dell’uomo e del poeta. Giustamente Patrick O’Meara nella sua biografia di Rylèev annota: “La sua poesia è inestricabilmente legata con la sua attività di rivoluzionario e, per citare una frase colorita di un commentatore sovietico, innalza, come un combattente, la bandiera di una consapevole battaglia contro la servitù della gleba e dello zarismo”.
         Aleksandr Ivànovič Herzen scrisse: “Ricordo che il suo verso risuonava come una campana che chiamava alla battaglia e alla morte come chiamasse a un banchetto”.
         Ma è lo stesso Rylèev a spiegarci cosa sia per lui lo scrivere in versi: “Nella mia mente non c’è posto per l’amore/ Ahimè! Il mio paese soffre/ La mia anima è scossa da pensieri gravosi/ Ora è solo assetata di libertà”.

A dx. Ritratto di K.F. Ryleev di O-A- Kiprenskij
  



E ancora: “ Dovrei uccidere i miei giovani anni nel sonno dell’ozio?/ Dovrei smettere d’innalzare la bandiera della libertà?/ No! No! Non permetterò mai che questo mi succeda/”
         “Ah, ho la nausea/anche della Patria,/ Non desidero più niente/ Si prevede veramente/Un destino pesante per secoli./ Per lungo tempo il popolo russo/ Sarà ciarpame dei signori/ A lungo si trafficherà con la gente/ Come con gli animali.”
         I suoi versi venivano cantati dai soldati e dai contadini di tutta la Russia che, per un attimo, sognavano la libertà non potendola avere.


Vasily Timm; la rivolta decabrista

 


Karl Kolman; Decabristi in piazza

 

 

“Attraverso ogni tipo di infernale ordalìa”

         C’è una splendida canzone di Luigi Tenco che dice: “E gli occhi intorno cercano/ quell'avvenire che avevano sognato/ ma i sogni sono ancora sogni/e l'avvenire e' ormai quasi passato”.
         Ecco, i sogni di libertà di Rylèev e della rivoluzione decembrista naufragarono miseramente la mattina del 14 dicembre 1825, quando , nella piazza del Senato di San Pietroburgo, le forze zariste soffocarono i tentativi d’insurrezione al grido di “Costituzione”. La sera prima, come ricorda l’amico decabrista Gavriil Baten’kov, Rylèev aveva prefigurato: “Molto probabilmente moriremo ma, se continuiamo a dormire, non saremo mai liberi”.
         Andreij Rozen, uno dei suoi amici più stretti, affermava che “era pronto a attraversare ogni tipo di infernale ordalìa pur di rendersi utile al suo paese natìo”.
         Il 15 dicembre Rylèev fu arrestato con l’accusa di tradimento e regicidio e, per il suo ruolo di leader, fu condannato a essere squartato. La sentenza fu poi commutata nell’impiccagione. Durante i molti interrogatori che seguirono al suo arresto, Rylèev cercò disperatamente di assumersi tutte le responsabilità dell’insurrezione scagionando i compagni e supplicò il Comitato Investigativo di condannare solo lui all’esecuzione: “Se è necessaria un’esecuzione per il bene della Russia, solo io la merito. Ho a lungo pregato che ciò riguardi solo me e che tutti gli altri siano restituiti, per grazia di Dio, alle loro famiglie, alla loro patria e al loro nobile zar”.

Tutto inutile, come ricorda Ninel’ Podgornaja: “ Nella nebbiosa mattina del 13 Luglio 1826, nella cittadella della fortezza Pietro e Paolo, si stagliavano confusamente cinque forche. Pavel’ Ivànovič Pestel’, Kondratij Fëdorovič Rylèev, Pëtr Grigor’evič Kachovskij, Sergej Ivànovič, Murav’ëv-Apostol e Michajl Pavlovič Bestùžev procedevano sotto scorta trascinando a malapena le gambe sotto il peso delle catene. Li sollevarono sul palco, li misero sotto le forche, coprirono i loro volti con dei colbacchi di tela rozza e sfilarono da sotto i piedi le banchine. Sotto il peso delle catene si spezzarono le corde di tre condannati, fra cui Rylèev, e i corpi sfondarono le assi del palco e caddero nella fossa. Li portarono via storpiati nel sangue. Murav’ëv-Apostol gridò: “In Russia non sanno neppure impiccare bene”. Le cinque forche apparvero ancora nelle bozze di Puškin e nelle sue strofe: “Di altri come loro non se ne trovano più”.
         Tutto previsto, calcolato e programmato. Nella Confessione di Nalivàiko  Rylèev aveva scritto: “ So bene che la rovina aspetta/ Colui che per primo si ribella/ All’oppressore del popolo./ Il fato mi ha già condannato./ Ma ditemi, dove mai si conquista la libertà/ Senza sacrificio?/ Morirò per la mia terra/Lo sento, lo so/ E felice, Santo Padre/ benedico la mia sorte.”

 


L'Ucraina ai nostri giorni

VOINARÒVSKIJ - un eroe della libertà ucraina

Il soffio del tempo e della vita

         Oggi la critica storico/letteraria è sostanzialmente d’accordo nel valutare più il pensiero politico che l’opera poetica di Rylèev. Dmitrij Mirskij nella sua Storia della Letteratura Russa pubblicata da Garzanti, lo liquida in poche righe: “Con poche eccezioni, i suoi poemi sono ampollosi e convenzionali… Le cose migliori sono quelle suggeritigli dal suo ardore rivoluzionario: il frammento narrativo La Confessione di Nalivàjko e soprattutto il Cittadino. Quest’ultimo è uno dei più bei brani di eloquenza rivoluzionaria in lingua russa”. Su Voinaròvskij aggiunge. “Sebbene non sia una perfetta opera d’arte e ci sia qualcosa di monotono nella sua cadenza ritmica, si tratta nondimeno di un nobile e virile poema, sinceramente ispirato all’amore della libertà”.
         Null’altro… eppure…
         Eppure nel 1823 la fama di Rylèev poeta incominciò a crescere e, quando in occasione di un incontro poetico pubblico in casa di Gavriìl Deržàvin lesse alcuni brani del suo Voinaròvskij, sulle pagine dell’Archivio del Nord apparve il seguente commento: “Se tutto il poema è scritto con lo stesso sentimento e la stessa forza rinchiusi nei brani letti, allora il nome di Rylèev sarà annoverato tra i migliori scrittori russi… occorre onestamente riconoscere che il talento del signor Rylèev sta crescendo e promette al paese un poeta la cui ultima reputazione sarà ben più grande di quanto suppongano ora alcuni critici…”.
         E Aleksandr Ivànovič Turgènev, nello stesso anno, scrisse una lettera a Vjàzemskij dicendo che: “ Rylèev sta scrivendo una splendida poesia”.
         Sta di fatto che in Voinaròvskij si libera il soffio del tempo e della vita. Nel silenzio innevato del deserto siberico, si saldano i conti rimasti ancora in sospeso con la propria esistenza. Allora il verso si fa anima, prende vigore e diviene poesia; fredda e aspra, angosciata e disfatta, ma vera poesia.
Voinaròvskij sa d’aver combattuto per la libertà del suo popolo e sa di morire per la libertà del suo popolo, però sa anche che la sua vita non gli è mai appartenuta veramente perché lo zio Mazeppa ne ha sempre governato il destino e le scelte. Ora, negli ultimi istanti, scopre la grandezza della libertà e dell’azione ma, nello stesso tempo, trema pietosamente di fronte a se stesso, ai suoi ricordi, alle illuminazioni della giovinezza. Vorrebbe riappropriarsi dei sui giorni e del suo passato, rivivere ancora nel fasto delle lussuose corti europee. Fra le sue mani sventola ancora la bandiera della libertà, ma dalle sue dita sfugge l’intero canto della vita e si ammaina tragicamente il vessillo delle illusioni.
         Aleksandr Puškin che di poesia se ne intendeva, forse tutto questo l’aveva capito e, non a caso, nella sua opera Poltava ne imitò diversi passaggi; in una lettera a Aleksandr Bestužev, scrive ironicamente di “essere dispiaciuto di non aver ucciso Rylèev in duello”, perché lo considerava il suo più serio rivale nell’Olimpo letterario russo.


Ivan Mazeppa ritratto sulla Grivnia ucraina


L'Ucraina al tempo della guerra di Poltava

Poltava: Museo della Cultura e della Storia: La battaglia di Poltava

“È arrivato il momento di essere uomini, non soltanto mariti”

Il Voinaròskij di Rilèev in realtà è una sorta di scatola cinese. All’interno si scoprono ideali, cammini e incroci di vita, personaggi e popoli, oppressi e oppressori. Voinaròvskij trascina le sua pietosa odissea shakespeariana durante il suo esilio in Siberia, un deserto di geografia e di anime, dove incontra lo scienziato tedesco Miller con il quale si confida.
Ne scaturisce un affresco di sentimenti e commozioni: la prepotente nostalgia per la patria Ucraina oppressa dalla Russia Zarista; il tragico e possente ritratto dello zio Mazeppa, atamano ucraino, che cerca di scuotere il suo popolo dal giogo di Pietro il Grande; le dolcissime memorie familiari dipinte come scene d’interni; soprattutto il respiro profondo della libertà e di qualsiasi sacrifico per conquistarla.
Tuttavia non deve sorprendere che un russo fino alla radice dei capelli come Rylèev abbia preso a simbolo della sua visione libertaria e politica proprio il popolo ucraino e due condottieri ucraini come Mazeppa e Voinaròskij. Lo spiega lo stesso Rylèev in una lettera del dicembre 1825 scritta a Mykola Markevych, discendente di una eminente famiglia cosacca e futuro storico ucraino: “Io sono russo, - scrive Rylèev, - ma ho passato tre anni in Ucraina: poco tempo, ma per me sufficiente per innamorarmi di questa terra e dei suoi gentili abitanti. Inoltre l’Ucraina mi ha donato una non comune, incomparabile moglie. La mia buona signora ucraina mi ha reso felice per sei anni e per questo il mio attaccamento si è completato con la gratitudine della mia anima”.
E Ihor Siundiukov aggiunge: “Rylèev considerava l’Ucraina come il più brillante esempio di un paese e di un popolo pronto a sacrificare la vita per un ideale di libertà. Come quando l’Autore del poema Nalivaìko fa pronunciare al suo eroe queste bellissime parole: “È arrivato il momento, amici miei, di essere uomini e non soltanto mariti”. E queste sono parole profondamente sentite”.

La storia riscrive se stessa

         Su La Stampa di Torino del 17 agosto 2014, Enzo Bettiza scrive: “ La storia dell’Ucraina è stata difatti la storia di una nazione incerta su cui da Oriente incombeva la Russia, dal Nord gli Stati scandinavi e da Occidente la Polonia. Hitler e Stalin la fecero di fatto scomparire dalla carta geografica. Dopo la Seconda guerra mondiale riemerse come uno stato debole, stritolato da Mosca e rosicchiato da Varsavia. La sua autonomia e la sua specificità continuavano a riprodursi con crescente fiacchezza”.
         Nel corso dei secoli la regione Ucraina ha rappresentato un ghiotto boccone per una variopinta schiera di popoli: scandinavi dei Rus’, bizantini, mongoli, lituani, polacchi, austroungarici, cosacchi e russi. In un succedersi di stati e staterelli che passavano da una bandiera all’altra; nella seconda metà del Seicento Bohdan Chmel'nyc'kij si fece proclamare atamano dei Cosacchi e ne guidò la rivolta contro la Polonia, che terminò con la costituzione di uno stato autonomo cosacco, inizialmente vassallo dei polacchi. Pochi anni dopo, nel 1667, lo stato cosacco si trovò diviso lungo il corso dello Dnepr: la metà occidentale era vassalla dei Polacchi, quella orientale dei Russi.
         E qui arriviamo ai tempi di Mazeppa e di suo nipote Voinaròvskij.
 Nel 1708 l'atamano ucraino Ivan Mazeppa si ribellò ai Russi con l'appoggio degli svedesi di Carlo XII che avevano invaso l'Ucraina, durante la Grande guerra del Nord. La rivolta fu, tuttavia, ferocemente repressa da Pietro il Grande che, nel 1709, con la decisiva battaglia di Poltava sbaragliò le truppe di Mazeppa e degli svedesi infrangendo così ogni anelito di libertà.
Nel 1764 Caterina II di Russia annesse lo stato cosacco al territorio russo.
Ora, in questa strana estate del 2014, le armi tra Ucraina e Russia hanno ripreso a tuonare con sinistri rimbombi di stragi, devastazioni e arroganti protervie. La storia riscrive se stessa nelle pagine più nere del suo cammino
Con una nota di sconforto, Ihor Siundiukov annota:” La storia delle relazioni culturali fra Ucraina e Russia è piena di drammatiche, contraddittorie e talvolta occasionali pagine tragiche. Non è facile da leggere; si deve analizzare e riconsiderare molte cose del passato del nostro popolo e, il più delle volte, rifiutare la concezione semplicistica del mondo come “bianca o nera. In ciò il passato ha tutto: un cinico imperiale impulso e una palese arroganza da grande stato, quando le alte autorità di San Pietroburgo e di Mosca rifiutano apertamente di ammettere l’esistenza della cultura e della lingua Ucraina piuttosto che il mutuo arricchimento dei mondi spirituali di questi due popoli slavi con una fruttifera e creativa competizione”.


Prigionieri in Siberia
(Aleksander-Sochaczewski) Tavola fuori testo

Carlo XII e Mazepa sul fiume Dneper
(Gustaf Cederström) Tavola fuori testo

Mazeppa
(Autore sconosciuto)

Sarei stato il primo a colpirlo se fosse divenuto nemico della libertà

Il controverso e misterioso personaggio di Mazeppa ispirò l’arte di poeti, scrittori, musicisti e pittori. Troppo intrigante la sua vita, troppo shakespeariana per sfuggire alla mitologia artistica dei grandi della storia: orgoglio, ambizione, astuzia, ribellione, amore, strategia politica e militare, fortuna e sciagura sono le sfaccettature che ancora oggi rinchiudono, in carattere grassetto, il solito sconcertante interrogativo: ma, in definitiva, era un eroe o un bieco traditore della patria? Un coraggioso condottiero che si batteva per la libertà del popolo ucraino, come lo interpreta Rylèev, oppure un misero velleitario opportunista gonfio di astio e di vendetta personale nei confronti della Russia e di Pietro il Grande, come propenderebbe Puškin?

Punti di vista, come sintetizza molto bene Ihor Siundiukov: “ Il Mazeppa di Puškin, per quanto tratteggiato con riguardevole intelligenza, è brutale, crudele e egoista. L’Ucraina è il suo ultimo pensiero, l’atamano mira al suo unico interesse. Al contrario il Mazeppa di Rylèev è mosso largamente da uno spirito patriottico e non da motivi mercenari e combatte veramente per la libertà”.
Certo, il Mazeppa di Rylèev è visto attraverso gli occhi e il ricordo del nipote Voinaròvskij che, condannato all’esilio nelle nevi eterne della Siberia, racconta la sua tragica storia allo scienziato tedesco Miller, che incontra casualmente a Yakutsk.
E tuttavia anche in Voinaròvskij il dubbio sullo zio rimane: “Io non so se abbia voluto/Salvare il popolo ucraino dai tormenti/ O erigere un trono per se stesso./L’atamano non mi ha mai rivelato questo segreto…/ Ma io so che, dimenticando/ Amore, affetti e la voce della natura/Sarei stato il primo a colpirlo/ Se fosse divenuto nemico della libertà”.
         Il lettore potrà giudicare seguendo il tragico canto del Voinaròvskij di Rylèev nella bella traduzione di Alfredo Bertollo; una traduzione appassionata e densa che, pur modernizzando il linguaggio ottocentesco e rinunciando al ritmato ABAB, tutela la bellezza espressiva nonché la possente, spesso dolente, filigrana poetica del testo.

Pier Luigi Coda
        

 




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