Nadia Blardone - "Punto di Rottura - Poesie" - Ibiskos-Ulivieri Editore 2014 
          
        La prima  impressione che ricevo dalla lettura delle liriche di Nadia si lega  indubbiamente alla concezione della scrittura come rifugio. Un riparo,  probabilmente il solo, a conferire serenità in un percorso a ritroso che, dalla  mano che impugna la penna, torna all'animo lungo le vene della propria storia  personale al suono di un ritmo che scende all'improvviso verso sera/ a  scomporre/ faticosi baricentri di equilibrio. Punto di rottura in questo  senso assurge ad un possibile punto di equilibrio del proprio essere, frattura  risanata(!?), questione di bilanciamento interiore tra la ruvida realtà che  divide e cambia dentro e la responsabilità che si ha non soltanto verso se  stessi, ma anche verso l'altro. La dedica che apre la silloge (All'amore che  mi sperde e ricompone. A Nicola, mio inizio e limite, vita) è in tal senso  fortemente connotativa e declina il nocciolo della poetica dell'autrice che,  pur partendo da una dimensione di solitudine, staglia le parole in un orizzonte  che si espande e accoglie chi, nella vita, cammina insieme a lei. 
Ecco perché il  lessico di Nadia esce dall'"eremo" e si fa garanzia di un universo  poetico tessuto di momenti ordinari in cui la cifra dell'eccezionalità sta Oltre addensata nella luce viola della sera e nel quale ci si può facilmente  rispecchiare. 
L'intuizione  lirica si fa dimora del lettore che si riconosce nell' arrivare in cima a  sfinire il fiato. Le parole fluiscono lungo il filo maliardo da cui  ogni stagione è avvolta e dove Per dire estate bisogna prima esser stati Aprile figlio di improvviso autunno. 
Il movimento oscillatorio  dell'incedere di Nadia non è indice di debolezza e neppure il tentennare  indeciso di mani immerse a lungo/ in acque verdi di lago, piuttosto è  margine per nuovi appunti di vita che baciano con infinita delicatezza quelli  già scritti nella giovinezza di una notte di San Lorenzo al profumo di verbena. 
Nadia non cede  al rimpianto per ciò che è stato e ora non è più. Siamo lontani da questo  banale sentire. La grandezza della sua poetica abita in un oggi altrettanto  intenso per cui il" panico" e turgido sapersi prato ci viene  mirabilmente  restituito in quel si seppe viva diluito in una pausa  quasi affaticata, suono onomatopeico di un respiro trattenuto per tutto il  tempo dell'immersione nelle sue parole. E forse, una volta giunti al momento  dell'espirazione, ci potrebbe anche venire in mente di fare una piccola  sostituzione al punto di rottura, trasformandolo in punto di...sutura. 
(Commento di Cristina Raddavero) 
        Non si può  definire un esordio letterario vero e proprio la pubblicazione di questa  raccolta di liriche, Nadia Blardone aveva già ottenuto meritati riconoscimenti  in  diversi premi di poesia nei quali si  è sempre distinta per la vibrante cifra emotiva dell’affabulazione poetica e la  raffinatezza del verso, spesso reciso da una misurata assonanza ipometrica. 
                  Ora,  per le edizioni della  Ibiskos-Ulivieri  di Empoli, propone una silloge dal titolo emblematico “Punto di rottura” con la prefazione di Maria Antonietta Cruciata.  Si tratta di una trentina di liriche selezionate e particolarmente  significative della sua produzione, connotate da una costante atemporale  che ne riafferma l’organicità dell’ispirazione  e l’indiscutibile eleganza della filigrana poetica. 
          Ecco, credo  che la chiave di lettura delle liriche di Nadia Blardone sia semplicemente  questo: farsi trasportare dalle parole e lasciarsi sorprendere. Allora suoni e  immagini, memorie e gesti, spazio e tempo si affacciano sul davanzale  dell’animo per osservare/descrivere lo sgocciolare della vita e dei giorni.  Sono sbalzi che si levano in alto, segmenti incastrati che emergono dal  profondo o, come spiega la stessa poetessa nella sua prefazione alla silloge, “punti di rottura, momenti del nostro  continuo divenire, accadono per farci vivere” nell’intensità quasi  struggente della chiarissima dedica: “All’amore  che mi sperde e ricompone. A Nicola, mio inizio e limite, vita”. Si direbbe  quasi un processo lirico mediato dall’analisi matematica  dove, nel “dominio” dell’esistenza, i punti di  discontinuità ne tranciano il ritmo e, a volte, lo rafforzano, altre lo  raggelano. 
                  E  così si dipanano pause introspettive di meditazione come in Punto di Rottura: “E dopo/ fili di sutura per fermare la deriva di continenti/un tempo  uniti, ora parte di frammenti/un ponte tibetano teso sulla ferita di un  crepaccio”. O momenti di riflessioni quando il quotidiano della professione  si trasforma in una bellissima pagina di vita come in Disabilediautismo dove il verso s’intona di appassionata umanità,  di tremori prosastici, attimi sconsolati e tuttavia così teneri e palpitanti da  incidere come un graffito  sui muraglioni  dell’essere. 
                  Poi  il tempo con le sue stagioni, l’autunno  freddo, la “primavera con lingua di  petali di loto”, il respiro sonnolento dell’estate, i girasoli con le danze  in sandali di strass: “A ballo già finito, sarà il vento ghiacciato/  a pulire il lungomare, qualche bici appoggiata/al belvedere, negli alberghi i  gerani riparati/sotto teli/trasparenti, di plastica”. C’è una rara  sensibilità nel catturare attimi di un microcosmo che si fa universale e trasforma  il piccolo gesto in storia vera, indelebile rievocazione, pagina di poesia.  L’osservazione dell’intorno è costantemente all’erta, attenta a scandagliare  nel profondo la voce di un incontro, uno sguardo d’amore, lo strazio di una mano chiusa/come il fiato nel lasciare  il mondo. 
                  Sullo  sfondo, scene e segmenti che s’intersecano con gli echi multipli di un  itinerario poetico denso di suggestioni e riflessioni che stillano sulla carta come  fossero gocciole di colore sulla tela. Quasi una sorta di “dripping poetry”  compressa dalla forza armonica delle parole. Non a caso Aleksandr Michajlovič Rodčenko, con l’immaginifico intrico del suo Ritmo espressivo, mi accompagnava nella  lettura della silloge, sospingendomi, verso dopo verso, oltre i vertici descrittivi  della realtà per varcare il mistero sconfinato dell’arte e della poesia o, più  semplicemente, i nostri “ appunti sparsi  nel pensiero”. 
          (Commento di Pier Luigi Coda) 
    
            Aleksandr Michajlovič Rodčenko: "Ritmo espressivo 1943-1944" 
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