Cristina Corzetto: “Cara sorella - lettere di un soldato” – Grafiche G7

Cara sorella di Cristina Corzetto è un libro di parole “in viaggio” e non c’è migliore ausilio delle parole che si accostano l’una all’altra per rendere ragione dello strazio compiuto dalla Storia.
Ciò accade perché le lettere del protagonista Gino irrompono nella coscienza di ognuno come unico punto di riferimento all’interno di un movimento e spostamento continui.
Corzetto “salva” l’individuo a prescindere dalla sorte che gli spetta dentro il meccanismo trituratore dell’orrenda macchina della guerra distruttrice, devastante, desertificante.
Conduce un’operazione faticosa e infausta perché entrare nella vicenda di Gino richiede  un atto estremo prima di immergersi nelle sue lettere.
Svestirsi.
Disarmarsi.
Restare nudi nello spirito.
Questo è il requisito che di rimbalzo sarà chiesto al lettore come essenziale per varcare la soglia tremenda di Cara sorella.
Corzetto lo sa bene e si avvicina in silenzio a Gino, in silenzio quasi assoluto.
Pochissime le sue “incursioni” perché è la voce di Gino che si deve sentire e non bisogna avere altre orecchie che per lui.
E questa voce si sente nella potenza di una presenza che parla con la lingua che gli è stata data in dotazione alla nascita allorché Gino era carezzato dai suoni del dialetto del suo paese.
Quello parla e quello scrive.
Nel dramma della guerra Gino è figura presente nei giorni suoi, della sorella, della famiglia, degli amici con la tenacia dello scrivere, del mettere mano a contenuti di vita perché la vita possa essere tangibilmente recapitata a casa.
Un libro è impregnato di lacrime e sangue attraverso la volontà ferma di non spezzare legami fondanti tra i membri della famiglia, con la propria terra, con l’aria che dal basso sale sulla cima dell’Antola in un canto autentico che nemmeno la guerra può corrompere.
Questo perché la testimonianza di Gino si fa garanzia di eternare la preziosità della vita oltre la fine.
Questa l’istanza del libro, di lettere che si susseguono per riempire le ore nel binomio assenza-presenza perno di una narrazione in cui i tratteggi del sole e di momenti lieti che Gino riesce a vivere e sentire ogni tanto sulla pelle, preannunciano sì lo sfacelo con l’internamento a Mauthausen, ma nello stesso tempo assurgono a simbolo dell’Amore che entra nella Storia nonostante tutto.
Se Corzetto non vi avesse creduto, se non avesse scritto per Amore, Cara sorella non avrebbe visto la luce.

(Commento di Cristina Raddavero)

 

Quando si apre il sipario dietro i trionfi o le disfatte di Cesare, si scopre l’impasto più vero e nefasto che si nasconde dentro le “gloriose” armate in cammino, dentro il cuore e le vene che pulsano di sudore, lacrime e fatica d’ogni inutile e famigerata guerra. Si scopre il cuore e il sangue di ogni militare, di ogni uomo o donna che viene preso e sbattuto chi sa dove a combattere per chi sa cosa. Libertà? Religione? Potere? Difesa? Orgoglio? Soprusi e ribellione?

         Ricordo sempre con angoscia il racconto del mio prozio Valentin, contadino robusto e acerbo della Val Borbera, preso e scaraventato a Caporetto. Era un ragazzo del novantanove, quasi un bambino, quando gli consegnarono una borraccia colma di grappa, lo ubriacarono ben bene e alle quattro del mattino lo spedirono, armato di baionetta, all’assalto all’arma bianca. Si trovava nelle prime linee e al primo contatto con i “nemici” venne ferito al ventre e cadde a terra svenuto. Fu la sua fortuna, su di lui caddero altri commilitoni che morirono nello scontro e con i loro corpi lo nascosero e lo protessero. Riuscì a salvarsi e tornò a casa, ma non fu mai più lo stesso; quando mi raccontava la sua storia lo faceva a fatica, con dolore e le lacrime agli occhi; spesso tratteneva il respiro come se volesse cancellare ogni ricordo.

                  Invece, dalla seconda guerra mondiale, a casa non tornò più il soldato semplice Gino R. di Vobbia di cui Cristina Corzetto ha raccolto memoria nel suo interessante e commovente libro “Cara sorella – lettere di un soldato 1939 – 1944”.

                  L’Autrice ha l’indubbio merito d’aver raccolto le lettere che Gino ha spedito alla famiglia, soprattutto alla sorella, nell’arco temporale della sua vita militare dal 1939 al 1944. Le ha cronicizzate e riprodotte fedelmente, lasciandole inalterate e integrandole solamente di pochi squarci che spiegano meglio la spazialità geografica e storica degli avvenimenti.

         È un epistolario che abbraccia quattro anni di sacrifici, di nostalgie, di rabbie e sofferenze. Scritto, come poteva scriverlo un giovane contadino della Val Vobbia, colmo di dialettismi liguri e strafalcioni, di riflessioni semplici e immediate che però incidono con forza e vigore umano segnando nel profondo la sensibilità del lettore: la lontananza, le malattie, l’impossibilità di aiutare la famiglia nei raccolti e nelle vendemmie, nel governo degli animali.

 “Carissima sorella, sono molto contento disentirti che luva è ancora discreta e avete terminato di battere il grano”…” Carissima sorella, , non ti puoi immaginare quante volte leggo e rileggo le tue care lettere e non ti credi a’ che punti mi fanno arivare mi fanno capace di cometere qualsiasi atto solo al pensare che potrei essere li insieme a te e Pappa aiutarvi darvi una buona mano adesso che sarei il vostro bracio destro ed invece no’ mi tocca stare qua a rovinarmi la mia gioventù…”… Carissima sorella, volevo che mi mandassi anche del pane perché ce lo danno ma e marcio che non si puo mangiare a una pussa quando si apre che non ci si puo stare vicino”… “ mi dispiace che mi dite che la vacca è venuta di nuovo al manzo”… “ ti voglio raccontare unpo qualcosa di qua perché noi non possiamo alamentare dell’italia perché vale più il monte disperato che ci sia che tutta la russia ti puoi imaginare tutte case basse che sembrano cascine ma non solo quello ma poi sono fatte tutte in legno ed intonacate di fango e prima di farci l’intonacatura ci mettono le mattonelle fatte di letame e fango”…

È un continuo peregrinare di qua e di là senza sapere dove, quando e per quanto tempo: Sanremo, Casale, Ventimiglia, e poi la campagna di Russia, il ritorno in Italia. In Toscana a Ripafratta e finalmente a casa. Ma per poco, solo per poco: ci si mette anche la sfortuna a perseguitarlo; per sciagurate coincidenze viene imprigionato dalle truppe tedesche e trasferito in Germania, nei lager di Mauthausen e di Gusen dove si conclude tragicamente la breve vita del giovane contadino dell’Appennino Ligure. Per ironia della sorte, dopo pochi mesi la guerra finisce. Finisce come finisce, e la grande Storia con la Esse maiuscola ce la racconterà nel suo epilogo celebrando i trionfi e/o le disfatte di Cesare.

Io resto ancora un attimo sulle pagine aperte dell’epistolario che Cristina Corzetto ha trascritto con tanta passione, coraggio e precisione; “Lettere di un soldato” è un libro che fa riflettere e merita di essere conosciuto e diffuso. I suoi sgrammaticati e incerti dialettismi attraversano l’animo del lettore con l’efficacia (o il monito) di una straziante, crudele memoria. Io la ringrazio per avermi fatto entrare nel cuore più tragico delle vicende umane d’ogni tempo e nazione, recuperando le esperienze vissute sulla propria pelle dal soldato semplice Gino R. da Vobbia, morto a Gusen, in Germania,  in un giorno qualunque senza calendario.
 
(Commento critico a cura di Pier Luigi Coda)