Sergio Gallo: "Corvi con la museruola" - Lietocolle Editore

Senza i radiosi sessili avi
l’umanità sempre più s’avvia
verso evi oscuri.
In un’epoca in cui tutto sembra crollare, tutto, effettivamente crolla , riassorbito nel processo naturale di crescita ed  estinzione.
La  poetica di Sergio Gallo assume nella nuova raccolta Corvi con la museruola  una valenza fondamentale di ri-composizione e critica:  ermeneutica del verso scevro di formule salvifiche o aneliti di vittoria, piuttosto, il tessuto lirico è  “incontro” e il poeta si sente implicato in un dettame  e  in una tradizione che lo precede e lo avvolge e a cui desidera essere “iniziato”.
Il  frammento posto all’inizio del libro tratto da Gli uccelli di Aristofane  ne diventa cifra peculiare , correlativo oggettivo di un percorso di scrittura che è cammino verso e attraverso l’alterità sia essa umana, animale, vegetale.
Quale sia poi la vera iniziazione lo si scopre sull’erta sommità della vallata  in un ritmo ascensionale  che è quello delle epoche, degli strati, delle stagioni della vita e delle vite cui si intreccia la vicenda minuta e dettagliata di scarnificate cuspidi a sfilacciare la compatta/bambagia delle nuvole.
Transita nel verso lungo, quasi un fraseggio , il compiuto cerchio di un tondo arcobaleno non meno di un mucchietto d’ossa condensazione di un poiein senza compiacimenti e vene intimistiche. La poesia di Gallo è un “accadere” e un “accedere”, è  possibilità di osservare la terra dalla terra quando il bruco si stacca dalla propria ombra o la formica incede sulle zampette, impercettibili, quanto mai aderenti tentacoli all’humus sotto il sole.
L’evoluzione poetica di Gallo è sul filo del rapporto prossimità/distanza,  forma/possibilità e tale rapporto scopre e disvela il paradossale intreccio delle parole se ancora queste , nell’egemonia di un punto di vista economico sul mondo, sanno essere testimonianza vibrante di un impegno poetico a vivere il proprio tempo, fino in fondo, senza però del tutto identificarsi con esso, senza in esso appiattirsi….
Sembra quasi che Gallo inviti a transitare accanto alle forme viventi e a non lasciarsi sfuggire ciò che di essenziale si dispiega in esse, unico lasciapassare in grado di armare l’uomo di una certa qual resilienza, giacché  non arrivano, dalle liriche, indicazioni a “resistere” AL,  tempo in cui si vive, ciò sarebbe inutile e insensato. Trattasi, piuttosto di “resistere” NEL tempo imparando (ma si può imparare?) nella stratificazione della Storia ad abitare nel presente, ad “essere”  con ciò che inesorabilmente accade.
Con la poesia di Gallo si “esce”, ex-sistere, ci si confronta con il mondo, con le ferite che esso provoca, ma anche con il ludibrio che esso consente.
Le implicazioni allora sono molteplici e Corvi con la museruola diventa lettura trasversale e “sapienziale”, suggestione e  ri-pensamento in chiave estetica di un materiale lirico che affina in se stesso la propria vocazione, sguardo ulteriore nel cammino poetico di chi , come Gallo, getta rinnovate  aperture e attraversamenti nel territorio minato della poesia.
Ben valgono per Gallo le parole di Novalis:
Se, l’inizio della filosofia è un bacio, allora è possibile che l’estetica cominci dallo sguardo che chiama quel bacio, richiamando l’essere al suo essere amante.
Cristina Raddavero, 20 gennaio 2017

 

Sergio Gallo: "Pharmakon" - Puntoacapo Editore

Mi accosto alla poesia di Sergio Gallo nel modo più diretto che si inchioda sulla scelta stilistica “angosciante”, sul modo realistico dell’analisi dei particolari per cui il verso è avvertito come un fatto naturale.
Per un singolare paradosso, più le liriche sono stra-ordinarie, tanto più si ascrivono al “naturale”; questo è  proporzionale alla differenza che si nota tra la perentorietà della vita in tutte le sue manifestazioni e la semplicità con la quale vengono accettate.
Il tessuto lirico di Sergio Gallo rievoca, a tratti, l’allucinante visione del dramma kafkiano che pulsa causando tremenda/ e immediata morte per folgorazione… le “zampine dimenanti” di quel realismo magico ben espresso in situazioni irreali e di incubo in cui si riflettono le angosce della coscienza.
Laddove la mia personale via dei detriti assume le sembianze di un pensiero sottile come plancton. Irrompe la connotazione simbolica di un assunto dimostrato nel campionario articolato di infinite nomenclature quante sono le specie viventi a sollecitare la tragedia terrestre in anchilosate ossa piuttosto che rinnovati esoscheletri, piumaggi e squame agonizzanti e/o voraci nel loro canto alla vita.
Leggendo Sergio Gallo si è “costretti” a parlare anche nel caso del più vivace deformismo e quando non vi sono fiori/da cui il nettare poter assaporare,/ quali sostanze a tenere in vita/l’esile cedronella- la Gonepteryx ramni- che al ritorno dal viaggio di gennaio/ abbiamo sorpreso, in cucina, a svolazzare? di un realismo più pesante della realtà.
Nel palpitante cerchio della poesia, fermato sulle ali membranose del pensiero gli occhi composti del vivente: ommatidi sulla storia silvestre, lacustre, di monte, di mare.
Gallo mette a parte il lettore di un fascino nuovo in cui l’immagine dell’arresto autentico, dell’annientamento della specie opera in una globale sequenza di immagini che si fanno singolo ritratto senza però contestare che ogni ritratto vive  solo in quanto a suo modo insieme di immagini.
Non è un caso che il poeta apra Pharmakon con Sulla tomba di Keats: a un ascolto attento ci si accorge che l’inno alla poesia come liberazione dal mondo è insieme evocazione del dolore del mondo. Da Pharmakon esce una molteplicità di figure policroma e polifonica per cui la raccolta si fa “domanda”  Perché la fragilità/non può essere una virtù? il cui ri-attingimento autentica il momento di ricerca nell’inattingibile risposta.
Scatta la complessa dinamica destinata a racchiudere il senso della poesia non affidato a nessun tipo di meditazione. L’acmé del canto lirico si condensa negli ultimi istanti/ quando già l’angelo Izrâîl/sui tuoi piedi aveva steso/le morbide e diafane ali/alle labbra che s’appoggivano /sulla fronte per l’ultimo bacio, /ancora “ciao” e non addio/sommesso riuscisti a ripetere.

(Commento di Cristina Raddavero)