Derio Olivero: " Riprendiamoci la vita" - Effatà Editrice

 

A un certo punto della vita si è stufi di leggere insulsi romanzetti o reboanti profezie di saccenti soloni che promettono ricette taumaturgiche per sanare tutti i mali dell’anima e dell’universo, da quelli economici a quelli politici, da quelli etici a quelli sociali. Trovo più oneste e leali le brillanti biografie di Francesco Totti e Gianluca Vialli.

E del pari, a un certo punto della vita si rinuncia ad acquistare le “centomila o dieci milioni di copie vendute” perché dopo tre o quattro pagine non sai più dove metterle: la biblioteca di casa è stracolma, il baracchino dei libri usati non ti guarda nemmeno se gli proponi di riacquistarle, il vicino di casa non legge più un libro da vent’anni e rischia di toglierti il saluto se ci riprovi, infine ti guardi intorno desolato; non resta che il cassonetto del riciclo della carta. Una signora del mio quartiere, accanita lettrice da Supermercato, riempie la borsa con i libri già letti, li impila e li abbandona su di una panchina del parco. “Signora, ha dimenticato i suoi libri,” le dico un giorno che la sorprendo. “No, no, non li ho dimenticati, io li ho già letti e non so più che farmene, magari qualcuno è interessato e li prende, mi dispiace troppo buttarli via ancora nuovi, alcuni sono superpremiati, hanno ancora la fascetta dorata”. Insisto “E qualcuno li prende?” “A volte uno, a volte due, dipende. A volte finiscono per terra”.

Allora ringrazio Gabriella Segarelli, titolare di Effatà, che mi ha suggerito di leggere il libro di Derio Olivero “Riprendiamoci la vita”. Non conosco l’autore; leggo che è il vescovo di Pinerolo. La sua biografia non mi dice un granché: appassionato di arte, dei giovani, di fotografia. Oggi siamo tutti appassionati di arte, di giovani e di fotografia… Vincendo la mia solita diffidenza, prendo il libro e comincio a sfogliarlo; nelle ultime pagine vi sono illustrazioni, il solito Van Gogh, Monet, le foto di un artista che non mi dice nulla: Davide Dutto. All’inizio del testo, alcune citazioni: Kavafis, Cristina Campo, una lettera ai Corinzi. Per solito, mi dico, quando un autore si appoggia al pensiero di un altro, non è troppo convinto delle cose che dice. Insomma, ne leggo una pagina, “Concretamente vivi”, poi una seconda e una terza. Alla decima mi stupisco di non averlo ancora rifilato in un cassetto. Lo trovo interessante, direi stranamente interessante, anzi molto interessante.

Un testo senza concessioni al compiacimento. Una prosa robusta che cementa pensieri robusti, senza fronzoli, piacevole. E così, piano piano, pagina dopo pagina, scopro Derio Olivero, nato a Fossano e vescovo della diocesi di Pinerolo. Scopro il suo libro di cose buone, di valori buoni, di attese e speranze buone che aiutano a crescere in modo buono. Detto così sembra che stia parlando della solita omelia declamata dal pulpito della cattedrale. Ma non è così, non è per niente così, non ho trovato una sola pagina banale. Ogni pagina porta ricchezza e profondità di pensiero; non dottrina, non buoni propositi o sterili raccomandazioni, ogni pagina offre soluzioni di vita, regala coraggio, hai sempre la sensazione che nel bailamme e nella confusione della società moderna ci sia ancora una via di fuga, tante vie di fuga per evitare l’omologazione, l’appiattimento, la sterilità dell’animo.

E poi è scritto bene. Molto bene, con squarci narrativi che abbracciano la poesia quando si riesce ad afferrare ogni palpito dell’esistenza, di storia, di vissuto: un cielo stellato, un prato riarso con tre alberi frondosi, una notte trascorsa ad arare al buio finché non senti male agli occhi; forse non fatica perché sei immerso nell’universo stellato, solo un bruciore agli occhi perché scopri finalmente te stesso, la gioia di vivere, ti accorgi di scoprire nell’oscurità la presenza confortante di Dio.

Quando recensisco un libro, mi capita talvolta di avvolgerne il contenuto dentro allusioni o immagini letterarie che esprimano in modo più o meno corretto il mio modo di intendere l’opera. Con “Riprendiamoci la vita” non funziona così, non c’è nulla che si possa aggiungere per impreziosire il contenuto. Viene da scrivere unicamente: il libro è bello, molto bello. Qualcuno chiederà: sì, ma perché? Cosa c’è di bello?  Semplice, perché aiuta a vivere, allevia la fatica, ti dà coraggio, linfa, scoperta, vitalità, non ti lascia accasciato sul divano a piangere sul tuo ombelico. Tutto qui, e non credo sia poca cosa.  È un libro da leggere e da regalare, ma non solo per Pasqua o per Natale, in tutti i periodi dell’anno; anche il primo di marzo quando, come dice l’autore, non succede proprio nulla di nulla, nessuna ricorrenza, nessuna enfasi, nessun chiasso fuorviante. Solo un giorno di vita come tanti altri dove ci chiediamo: Chi sono? Cosa mi aspetterà domani? Sarò capace d’essere felice? Come ne uscirò da questo maledetto imbroglio? Saprò cavarmela? Troverò sufficienti energie? So solo che “se sono scoraggiato, Gesù prende il mio volto tra le sue mani e mi dice: “Puoi farcela, ti voglio bene”, Con questa certezza possiamo affrontare con coraggio tutte le nostre lotte contro il male. Con questa fiducia possiamo sognare il bene” pag. 184.

(Commento di Pier Luigi Coda)