Lucia Visconti: “Per mano” - Edizioni Polistampa

 

Un potere di sintesi tanto sviluppato e incisivo da sfociare quasi spontaneamente nella forza sgomenta del versicolo ungarettiano o nel respiro contratto e conciso dell’haiku. Ecco la silloge poetica “Per mano” di Lucia Visconti, in cui parole talmente essenziali da apparire violente, e così precise da assumere i contorni di un’accusa, indicano “senza quartiere” nei discendenti di Adamo –traviati dal male e incapaci da sempre di salvezza (ovvero di arrivare a procurarsela)– una specie corrotta e impura che insiste a respingere il senso ultimo del Golgota, instaurando con Dio un rapporto di labile intimità, sostanzialmente illusoria, e (quel ch’è peggio) vincolando ciascuno di noi alla propria psiche degradata, alla propria natura sghemba e deforme, che trova redenzione (transitoria e basta!) per brevi attimi, drasticamente effimeri.
Se poi, come la lirica “Avvinghiato” sembra suggerire, la corona aguzza del Cristo prefigurava in qualche modo il filo spinato dei lager, dell’ingiustizia –dunque della crudeltà–, diventerebbe lecito affermare e aggiungere che la raccolta “Per mano” vuole anche dipingere, o meglio “sprigionare” con vigore commosso, il ritratto di un Messia scoraggiato e coraggioso; vale a dire tristemente conscio di essere votato ad un supplizio vano (ad una croce sprecata) e deciso perciò a morire per semplice bontà: non a maggior gloria di un risultato utile o sicuro, ma esclusivamente per incalcolabile quanto incalcolato amore.

(Commento di Pietro Pancamo)